È di questi giorni l’ufficializzazione dell’accordo fra le confederazioni sindacali e le istituzioni di rappresentanza della cooperazione sociale per l’approvazione del nuovo contratto dei lavoratori delle cooperative sociali. L’accordo arriva dopo cinque anni dalla chiusura del precedente contratto, che aumentava del 5,95% la retribuzione media lorda dei dipendenti e dei soci lavoratori delle cooperative sociali. Stavolta l’aumento è molto più consistente: si tratta di un incremento che, con il calcolo degli oneri aggiuntivipuò arrivare a un valore tra il 15% e il 16%, più del 4% nel 2024 e un ulteriore 11%-12 % nel 2025.  Le ragioni di un incremento con decorrenza immediata da febbraio 2024 sono in parte comprensibili: da anni gli stipendi dei lavoratori del comparto erano fermi e con l’aumento dell’inflazione si è prodotto una forte erosione del potere di acquisto dei salari. I salari medi di un educatore o di un operatore socio-sanitario variano tra mille duecento e mille cinquecento euro al mese: uno stipendio che rende proibitivo per molti giovani e meno giovani affrontare le spese della vita quotidiana. Invece di avere negoziato prima con la parte pubblica, i delegati alle trattative degli enti di rappresentanza e dei sindacati hanno ritenuto di arrivare prima a un accordo reciproco e solo in seguito di portare le istanze avanti il riconoscimento degli aumenti con gli enti pubblici, delegando le trattative a livello locale agli enti di rappresentanza regionali o alle cooperative nei loro rapporti con le singole amministrazioni. La questione salariale andava dunque giustamente posta in primo piano nell’agenda di policy makers ed enti di rappresentanza delle cooperative e dei lavoratori. Se estrapolato dal contesto, il problema dei salari delle cooperative sociali è facile da risolvere e il nuovo contratto può essere salutato effettivamente come un successo. Inserito dentro un quadro più articolato di realtà, l’incremento dei salari previsto dal nuovo accordo merita, tuttavia, qualche riflessione aggiuntiva sia in relazione al suo impatto concreto che a una valutazione della capacità di enti di rappresentanza e sindacati di comprendere e governare i processi di cambiamento in atto. La prima domanda per valutare l’impatto del nuovo contratto nazionale è relativa alla sostenibilità: sono in grado le cooperative di reggere i nuovi aumenti? Il comparto della cooperazione sociale è composto non solo (e non tanto) da solide realtà imprenditoriali, ma da migliaia di piccole e medio-piccole imprese che negli ultimi anni hanno visto erose le proprie marginalità e che spesso sono sopravvissute attingendo alle riserve e tagliando all’osso i costi di tecnostruttura. Mentre per le cooperative di inserimento lavorativo una metà circa dei proventi vengono dal mercato, per le cooperative sociali di servizi, il finanziamento resta ancora in grandissima parte di provenienza pubblica. Secondo le stime più aggiornate (European Commission, 2018), il mercato pubblico vale tra il 65% e il 70% dei circa sedici miliardi di fatturato delle oltre 15.000 cooperative sociali italiane. L’impatto del rinnovo attuale a regime dovrebbe essere di conseguenza stimabile tra un miliardo e mezzo e due miliardi di euro a regime. Il mercato pubblico che funge da polmone vitale di un numero elevatissimo di cooperative sociali è in fase di espansione, ma questo non significa che a tale trend corrisponda un aumento di marginalità per le cooperative. Al contrario, i margini seguono da anni un processo di contrazione che è arrivato a raggiungere percentuali sempre più risicate (e risibili) di utile. Molte cooperative sociali lavorano nel regime delle gare ormai con un margine medio del 1-2% e questo inevitabilmente rischia di ingenerare il famoso “ciclo della fame” in cui alla diminuzione del margine segue il disinvestimento in strutture e investimenti strategici il quale, a sua volta, rinforza un’immagine degli enti entrati in questo ciclo come erogatori a basso prezzo e non meritevoli di essere sostenuti per la loro capacità strategie e per i relativi fabbisogni di finanziamento organizzativo (Gregory e Howard, 2009).

 

Fonte: Cantiere Terzo Settore

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