Nonostante il RUNTS non sia ancora operativo, i soggetti che stanno valutando se e come assumere la qualifica di Terzo Settore (o di impresa sociale, con l’iscrizione nell’apposita sezione del Registro delle Imprese) devono considerare anche la sorte che avrà il patrimonio nell’eventualità che l’ente sia cancellato dal registro per carenza dei requisiti o per scelta volontaria. L’art. 9 del Codice prevede che “il patrimonio residuo è devoluto […] ad altri enti del Terzo settore secondo le disposizioni statutarie o dell’organo sociale competente o, in mancanza, alla Fondazione Italia Sociale”. L’art. 50, c. 2 prevede che la devoluzione riguardi “l’incremento patrimoniale realizzato negli esercizi in cui l’ente è stato iscritto nel Registro unico nazionale”. La domanda è rilevante anche per gli enti religiosi che intendono istituire un ramo di Terzo Settore, ma assume profili del tutto particolari in quanto – diversamente dai soggetti che acquisiscono la qualifica di Terzo Settore solo integralmente (fondazioni e associazioni) – gli enti religiosi possono determinare quali dei loro beni confluiranno all’interno del cosiddetto “patrimonio destinato”, che deve essere gestito e amministrato osservando i vincoli di cui all’art. 8 (obbligo di utilizzare il patrimonio, nonché gli eventuali ricavi, rendite, proventi ed entrate solo per le attività incluse nel ramo) e del citato art. 9. Pur rilevando che anche per i rami degli enti religiosi l’obbligo di devoluzione riguarda solo l’incremento patrimoniale, il D.Lgs. 117/2017 lascia che siano tali enti a individuare i beni che saranno amministrati e utilizzati osservando le disposizioni del Codice. In altri termini, all’atto della istituzione del ramo, l’ente religioso potrebbe decidere che solo alcuni dei beni utilizzati per le attività del ramo siano considerati come patrimonio destinato, tenuto conto che se i beni non sono inseriti tra i cespiti di tale patrimonio, benché utilizzati per le attività del ramo, non devono osservare i vincoli di cui agli artt. 8 e 9.
Di contro, tali beni non possono essere ammortizzati, né dedotte le spese di manutenzione (ordinaria e straordinaria). Questa situazione potrebbe essere irrilevante in caso di ramo di Terzo Settore non commerciale e per le attività del ramo che non hanno natura commerciale. Tuttavia, occorre anche considerare che proprio per non essere inclusi nel patrimonio destinato, gli interventi di manutenzione e le migliorie su tali beni non possono essere pagati con le risorse finanziarie del ramo. Elemento piuttosto rilevante in ordine alla scelta se inserire un bene all’interno del patrimonio destinato.
In conclusione, se la decisione di non includere alcuni beni (pur utilizzati per le attività del ramo di Terzo Settore), potrebbe presentare considerevoli vantaggi in occasione della perdita di qualifica. Il divieto di utilizzare le risorse finanziarie del ramo per affrontare gli interventi che si rendono necessari potrebbe, invece, costituire un problema in ordine alla loro realizzazione.
Simili considerazioni riguardano la valutazione se e come acquisire la qualifica di ramo di impresa sociale. Occorre, però, sottolineare che a differenza di quanto previsto dal Codice del Terzo Settore la “lettera” dell’art. 12, c. 5 D.Lgs. 112/2017 pare sottrarre all’obbligo di devoluzione tutti i beni che l’ente religioso ha incluso nel patrimonio destinato.
(Fonte: Don Lorenzo Simonelli, Sistema Ratio)