Gli enti religiosi, che rappresentano già una parte importante del Terzo settore, si chiedono se diventare ETS. I vantaggi sono infatti tanti, sia di natura fiscale, che dipendenti dal fatto che potersi qualificare come ETS sarà sempre più importante per potere attingere ai tanti specifici finanziamenti pubblici e delle varie fondazioni e nei rapporti con la pubblica amministrazione e con i propri donatori privati. Il nuovo Codice riserva loro un trattamento speciale. L’art. 4, comma 3, del nuovo Cts, ad esempio, consente, a determinate condizioni, di derogare alle norme civilistiche espressamente stabilite per gli altri enti. Si pensi, ad es, al principio di democraticità interna, incompatibile con l’ordinamento canonico di molte confessioni religiose, necessariamente organizzate su base gerarchica.
Il Cts parla di enti religiosi civilmente riconosciuti. Con tale denominazione soggettiva, ci si riferisce non solo agli enti “ecclesiastici civilmente riconosciuti”, ma a qualsiasi ente, con riconoscimento della personalità giuridica, ancorché appartenente a confessioni religiose prive di patti e accordi. Ciò non toglie che anche enti religiosi, privi di riconoscimento civilistico, possano essere interessati alla suddetta Riforma, in quanto parte integrante del Terzo Settore.
Ogni Istituto può decidere di svolgere le attività caritative, rientranti a pieno titolo tra quelle c.d. di interesse generale nel regime della Riforma, secondo il modello del “ramo”. In tal caso, l’Istituto deve adottare un regolamento e individuare un patrimonio dedicato (art. 14, co. 2, lett. c), D.M. 106). Del regolamento si è detto già in altro momento, fermiamoci qui a riflettere sul patrimonio da destinare allo svolgimento delle attività di interesse generale.
Lo stesso, può essere costituito da beni, mobili e immobili e da risorse finanziarie (denaro contante, titoli, crediti). Precisiamo subito che i beni individuati non “fuoriescono” dal perimetro dei beni dell’Istituto conservando, così, la loro natura ecclesiastica. Il patrimonio destinato deve, inoltre, essere adeguato al volume di attività svolta dal “ramo”. In caso contrario, è possibile ipotizzare che banche e fornitori richiedano garanzie all’Istituto come condizione per l’erogazione del credito per la prestazione di beni o servizi .
Nel corso della vita del “ramo” ETS può accadere che l’Istituto non intenda più esercitare l’attività di interesse generale e chieda, quindi, la cancellazione dal RUNTS. In questo caso la Riforma prevede la devoluzione del patrimonio ad altri ETS, secondo quanto previsto dall’artt. 9 e 50 CTS. Ciò non significa che l’Istituto dovrà devolvere l’intero patrimonio destinato all’esercizio delle attività di interesse generale. Per espressa previsione, oggetto di devoluzione saranno esclusivamente, gli incrementi patrimoniali realizzati nel periodo in cui l’Istituto è stato iscritto nel RUNTS (art. 14, co. 2, lett. d), D.M. 106). L’art. 14 già citato presta attenzione agli enti religiosi civilmente riconosciuti che hanno già piena personalità giuridica ai sensi dei patti, accordi e intese conclusi dalle rispettive confessioni religiose con lo Stato italiano.
L’art. 4, c. 3 del CTS e l’art. 1, c. 3 D. Lgs. 112/2017 estendono espressamente agli enti religiosi civilmente riconosciuti la disciplina degli ETS, limitatamente a quelle attività generali elencate nell’art. 5 del CTS e nell’art. 2 del Decreto sull’Impresa Sociale. In tal senso, i due decreti prescrivono che “per lo svolgimento di tale attività deve essere costituito un patrimonio destinato e devono essere tenute separatamente le scritture contabili di cui all’art. 9”. L’avverbio “limitatamente” ci ricorda che le norme giuridiche non si applicano all’ente religioso civilmente riconosciuto in quanto tale, ma solo alle sue attività di interesse generale, esercitate mediante la costituzione del Ramo ETS. Il patrimonio destinato degli enti religiosi ai sensi del CTS è dunque un requisito per l’ammissione al Registro del Terzo Settore e il mezzo con cui istituire il Ramo ETS e tutelare l’ente in caso di scioglimento.
La corretta e puntuale individuazione dei beni del patrimonio destinato degli enti religiosi consente di garantire che i ricavi, le rendite, i proventi, gli utili, gli avanzi di gestione, i fondi e le riserve al suo interno, rispettino i divieti di distribuzione previsti dalla Riforma ETS e rispondano ad un pieno regime di trasparenza. Il Ramo ETS può avvalersi, inoltre, della possibilità di dar vita a un patrimonio destinato a uno specifico affare ai sensi del citato art. 2447-bis C.C., in quanto la riforma estende quanto previsto per le società anche agli enti diversi e dunque agli enti religiosi civilmente riconosciuti. In tal senso, seguendo l’art. 2447-quinquies C.C., i vantaggi per il Ramo sarebbero duplici: il patrimonio dell’ente religioso non sarà aggredibile dai creditori del Ramo ETS e quest’ultimo avrà l’obbligo di rispondere alle obbligazioni contratte per lo specifico affare unicamente nei limiti del patrimonio destinato.
Altra considerazione, non certamente di poco rilievo, dato il fatto che la scelta di costituire un ente del Terzo settore collegato con l’Istituto comporta la perdita del carattere ecclesiastico dei beni che l’Istituto stesso attribuisce in proprietà all’ente collegato, è possibile ricorrere a strumenti civilistici che consentano di conservare la proprietà dei beni in capo all’Istituto, concedendone all’ente collegato non la proprietà, ma il solo utilizzo attraverso un comodato, l’attribuzione del diritto di superficie o di usufrutto).